Federico Mazza Artista & Graphic designer
Texts / Attraverso aperto

In una lettera dell’ottobre 1821, indirizzata a un amico anche per spiegare i suoi studi dedicati alle nuvole, John Constable sosteneva che il cielo, lontano dall’essere “un semplice foglio bianco disegnato dietro gli oggetti”, in pittura costituisca piuttosto “la nota principale”, il primario “organo del sentimento”. Per quanto si dirà nelle prossime righe, il commento del pittore inglese torna utile nel segnalare la tensione, tipica del romanticismo, a una percezione sentimentale dell’ambiente, lo sguardo volto a spazi infiniti, circonfusi magari di una “profondissima quiete”. Si tratta di una tensione che, passando tipicamente per la pittura di paesaggio, conduce a una più ampia categoria estetica, e infine spirituale, definibile come fascinazione dell’indistinto. A proposito d’indistinto, si può costruire un edificio di nebbia? Nel 2002 due architetti newyorkesi, Diller+Scofidio, ci sono riusciti sulla superficie del lago di Neuchâtel con un’esile struttura metallica che, vaporizzando l’acqua sottostante, creava un ambiente atmosferico sospeso. Di quel progetto, qui, interessa segnalare soprattutto come per i suoi artefici esso andasse mantenuto distante da ogni sentimentalismo: il Palazzo sfocato – questo il nome dell’edificio – era stato pensato infatti per offrire “una superficie interpretativa vuota”, liberato da “ogni immediata e ovvia associazione metaforica come nuvole, dio, angeli, ascensione, sogni”. Nel giro di poche parole, saltando tra i secoli, siamo passati dalla pittura all’architettura, dal cielo alla nebbia, dalla modernità romantica a una contemporaneità dichiaratamente post-moderna; proviamo ora a condensare qualcuno almeno degli elementi appena richiamati intorno a Federico Mazza. È, la sua, una pittura minuziosamente vaga, indeterminata, sfuggente anche grazie all’adozione di una prospettiva mobile, quella di un osservatore disposto dietro il vetro di un treno (transito, del resto, è titolo ripetuto in tele e mostre dell’artista). Tale idea e prassi compositiva si ritrovano in ampie intravedute di alcuni elementi ricorrenti colti nel passaggio, quasi archetipici dell’intervento umano che segna nel nostro presente il paesaggio – tralicci, cavi elettrici tesi sull’orizzonte, grandi parabole radar. Per altro verso, alcune opere dell’ultimo periodo paiono voler definire delle inedite pause visive, transitorie requie, come se lo sguardo fosse di un soggetto che di tanto in tanto almeno si arresti lungo il proprio percorso, e consideri il momento; esemplari, in questo senso, risultano una serie di strade colte all’alba o all’imbrunire, dove il filtro laterale del finestrino pare lasciare il posto a una visione frontale da fermo, in piedi magari accanto a una macchina appena spenta. In ogni caso, in tutti i lavori di Mazza è il cielo a imporsi assoluto, dilagando sulla superficie pittorica attraverso un sapiente gioco di dissolvenze cromatiche che rende aerea, impalpabile la terra stessa. Significativamente, l’organo del sentimento di cui si diceva con Constable viene a operare proprio per mezzo di quella sfocatura che abbiamo visto costitutiva di un’architettura fatta di nebbia, ma attenta a rifiutare ogni fumo di romanticismo. Bene, la pittura dell’artista romano pare insediarsi in un territorio di mezzo tra tali referenti: consapevole del sentimentale e insieme del vuoto che gli è stato opposto più di recente, può permettersi di registrare ora un traliccio dell’alta tensione, ora una strada che si fa ombra e nuvola, risultando sempre convincente.

La tecnica esecutiva gioca un ruolo importante in simile operazione. Di fatto, Federico dipinge a partire e attraverso il colore, stendendolo senza alcun disegno sottostante, ed è nel lento asciugare degli oli, nel progressivo impressionarsi dei loro toni attraverso sapienti, larghi passaggi di pennello che il soggetto si stabilisce nell’immagine: un soggetto emergente dall’indistinto e che ad esso continua ad appartenere, con mutevoli, nebbiosi cieli a trovarsi insieme sullo sfondo e in primo piano. Ancora, in maniera vicina a quanto avviene in Gerhard Richter – pittore assai caro a Federico – i contorni risultano sfocati nell’intento di eliminare gerarchie troppo rigide tra elementi compositivi, lasciando alla visione dell’osservatore la sintesi estetica dell’opera. In tale sintesi, per sua natura dinamica, risiede effettivamente una delle ragioni principali del fascino esercitato dalla pittura di Mazza, capace di assecondare il sentire individuale ma attenta al contempo a evitare che questo scarti languido dalla visione di un presente elettrico, solcato da macchine e segnali radio, a un’atemporale, immobile arcadia. Esaurite le temperie ideali e critiche di moderno e post-moderno, come sempre accade è così l’arte a riprendere il cammino, alla ricerca di occasioni dove possa stabilirsi una maniera rinnovata di sentire – un sentire che non sia più ingenuamente sentimentale, ma combinazione finalmente matura di emozione e cognizione. Nell’opera di Federico Mazza si tratta di un cammino, lento e silenzioso, lungo strade che si perdono indistinte all’orizzonte, attraverso paesaggi aperti all’interpretazione.

Luca Arnaudo. Roma, maggio 2012

NOTE
La citazione di Constable è ripresa da Mary Jacobus, Cloud Studies: The Visible invisible, in Journal of the Imaginary and Fantastic, n. 3, 2009, mentre l’affermazione di Elizabeth Diller a proposito del Blur Building proviene da Cary Wolfe, Lose the Building: Systems Theory, Architecture, and Diller+Scofidio’s Blur, in Postmodern Culture, n. 3, 2006. Il richiamo a Richter ha in mente una nota dell’artista: “Io sfuoco le cose per rendere tutto ugualmente importante e trascurabile […] Sfuoco le cose per ravvicinare ogni parte.” (Gerhard Richter, Text. Writings, Interviews and Letters 1961-2007, Thames & Hudson, London 2009). Si avverte inoltre che i fantasmi di Leopardi e Schiller s’aggirano tra le righe del testo.